Sopra gli uffici dello stabilimento enologico della D’Ambra Vini, storica azienda vinicola dell’isola d’Ischia, c’è un museo dove sono stati raccolti e catalogati gli antichi attrezzi di uso comune nell’agricoltura ischitana, quelli, parafrasando il poeta locale Giovanni Verde, indispensabili nella bella e difficile arte della coltivazione della vite.
Chiunque voglia approfondire storia e tradizioni dell’isola più grande del Golfo di Napoli non può perciò esimersi da una visita al Museo del Contadino di Panza (Forio), magari in abbinamento al Museo del Mare di Ischia Ponte, allestito invece all’interno del settecentesco Palazzo dell’Orologio.
Ischia è infatti un’isola dalla doppia anima, contadina e marinara, ma è il mare l’elemento che spiega in più modi le fortune della viticoltura sull’isola. Rinominare perciò le proprie tenute "I Vitigni del Mare", come ha fatto la famiglia D’Ambra, non è affatto in contraddizione con la circostanza che Ischia è un' "isola di terra".
La stessa pietra di tufo verde deve il suo colore allo sprofondamento in mare e alla successiva riemersione del materiale piroclastico accumulatosi con l’eruzione di 55.000 anni fa, quella da cui è venuto fuori poi il Monte Epomeo, il gigante buono dell’isola d’Ischia. Quella stessa montagna lungo i cui pendii collinari sono impiantati da secoli diversi ettari di vigneti, strutturati su terrazzamenti realizzati con la caratteristica pietra locale cui si è accennato poco sopra. Non solo. Perchè anche le botti di legno dove avveniva il processo di fermentazione del vino venivano di prassi sciacquate in mare, per non dire dei marinai liguri che già nel XV secolo lambivano le coste di Ischia per acquistare il pregiato vino locale. Così come dal mare, ancora meglio da un’altra isola, Salina, provenivano i fratelli Sanfilippo, - Gaetano, Giuseppe e Antonio - verso cui gli ischitani hanno un debito storico e morale enorme per aver appreso da questi la fondamentale pratica della solforazione della vite.